Il Piemonte a Chicago? Ecco dove, e cosa si mangia di buono.

plin-torino-piemonteGuardate la foto qui a fianco. Buoni vero? Un bel piatto di plin come Dio comanda, di quelli che sembran preparati dalla nonna. E invece no.
Sono stati cucinati a Chicago, dove – tra una miriade di ristoranti italiani che hanno esportato gloriose pizze e fumanti spaghetti al pomodoro – c’è il ristorante Osteria Langhe, che si propone di portare un po’ di Piemonte food&wine nientepopodimeno che negli USA.
Io li ho scoperti su Instagram. Voi state per farlo qui sul blog, nell’intervista più internazionale e interessante che ho condotto finora. Perché è curioso, una volta tanto, vederci attraverso occhi che abitano al di là di un oceano.
Enjoy!

Hi Aldo (Zaninotto ndr), what is the story of your restaurant? But most af all: why Piedmont? Why Piedmontese food?
I discovered Piemonte through the wines and the winemakers themselves, ever getting me excited about the region, the history, the culture, the food and wines. About 17 years ago I made a switch in career from the restaurant business where I grew, working in some of the best restaurants in Europe, NYC, Los Angeles and Chicago. When I made that change to become a wine sales representative, I understood the importance of identifying the perfect wines for the perfect food pairing, building a great reputation through the Chicago dining scene at an early stage, it was the beginning of a new culture to Chicago. Fortunately for me, the company (wine distributor) I was working for had some of the best wines from Piemonte to offer, wineries such as Vietti, Michele Chiarlo, Roberto Voerzio, Bruno Giacosa, Ceretto, Prunotto, Coppo, La Spinetta, Chiara Boschis, Paolo Scavino, Cigliuti to name just a few of them. I was fascinated, so months later I decided to venture to visit the Piemonte region.The food and its tradition were amazing! I had to share this with my customers back in Chicago (chefs and Sommelier, who either knew nothing or just a bit of that region).
After traveling through the whole country, I saw the excitement and interest from people who knew little, in my head I understood that if done well and focused, I could bring that culture in one place only if I had the right ingredient. In 2013, Giorgio Rivetti and I were both convinced that if the place was authentic, we would be able to convince our customers, so we did. We are strictly focusing with only the wines from Piemonte (no Prosecco, no Franciacorta or Sangiovese) and we try to showcase theideology the way it is done in the Langhe: working with the season through classics, working with smaller and local farmers. We are part of the Slow Food movement.

Ciao Aldo (Zaninotto ndr), qual è la storia del vostro ristorante? Ma soprattutto: perché Piemonte? Perché il cibo piemontese?
Ho scoperto il Piemonte attraverso i vini e i viticoltori stessi, amo questa regione, la storia, la cultura, il cibo e i vini. Circa 17 anni fa ho fatto un passo fondamentale nella ristorazione, mondo nel quale sono cresciuto, lavorando in alcuni dei migliori ristoranti in Europa, New York, Los Angeles e Chicago. Poi sono diventato un rappresentante di vendita di vino, ho capito l’importanza di identificare i vini perfetti per il perfetto abbinamento con il cibo, è stato l’inizio di una nuova cultura per Chicago. Fortunatamente per me, la società (distributore di vino) per cui stavo lavorando offriva alcuni dei migliori vini piemontesi, provenienti da cantine come Vietti, Michele Chiarlo, Roberto Voerzio, Bruno Giacosa, Ceretto, Prunotto, Coppo, La Spinetta, Chiara Boschis, Paolo Scavino, Cigliuti – per citarne solo alcuni. Ero affascinato, quindi mesi dopo ho deciso di avventurarmi a visitare il Piemonte da vicino. La sua tradizione si è rivelata incredibile! Dovevo assolutamente condividere questo con i miei clienti tornato a Chicago (chef e sommelier conoscevano poco o niente di questa regione).
Dopo aver viaggiato attraverso tutto il Paese, ho visto l’entusiasmo e l’interesse da parte di persone che conoscevano poco questa parte d’Italia, e nella mia testa ho capito che se fatto bene e con dedizione, avrei potuto portare quella cultura se solo avessi avuto l’ingrediente giusto. Nel 2013, Giorgio Rivetti ed io eravamo entrambi convinti che se il posto fosse stato autentico, saremmo stati in grado di convincere i nostri clienti, e così è stato. Stiamo rigorosamente scegliendo solo i vini piemontesi (niente Prosecco, no Franciacorta o Sangiovese) e cerchiamo di mostrare il cibo per come è ancora oggi inteso nelle Langhe: lavorare con i prodotti di stagione, proporre i classici, collaborare con gli agricoltori più piccoli e locali. Siamo ovviamente parte del movimento Slow Food.

osteria-langhe-chicagoEcco, pensare ad un ristoratore che propone cocktails a base di Vermouth o a qualcuno che in questo momento magari sta scoprendo il Punt e Mes è… fantastico!

Do american people like traditional piedmontese dishes? Are they interested in the ingredients and the stories behind the recipes?

Most of the people know truffles, but I like to think that without Osteria Langhe in Chicago they would not know what Tajarin or Plin or Finanziera are. People today are really excited about the simplicity of Piemonte food, working and respecting the seasons.

Come reagiscono gli americani ai piatti tradizionali piemontesi? Sono interessati gli ingredienti e le storie dietro le ricette?

I più rinomati nell’immaginario comune sono i tartufi, ma mi piace pensare che senza Osteria Langhe a Chicago non saprebbero cosa siano tajarin o plin o la finanziera. Il nostro menu è una grande vetrina per il Piemonte e le persone oggi sono davvero entusiaste della semplicità del Piemonte, fatta di lavoro, buon cibo e rispetto delle stagioni.

What are your favourite recipes and dishes? 😉 What do your clients like the most about your menu?

The favorites of the restaurant are Plin (with LaTur cheese), Tajarin e Ragu, Vitello Tonnato, Carne Cruda, Coniglio, Fonduta, Castelmagno cheese, Finanziera.

Per la cronaca, nel menu sono previste anche specialità non esattamente facili, come la trippa e le lumache. Chapeau!

Quali sono le vostre ricette e i piatti preferiti? 😉 Quali sono i piatti più richiesti del vostro menu?

I preferiti sono i plin (con formaggio Latur), i tajarin al ragu, il vitello tonnato, la carne cruda, il coniglio, la fonduta, il Castelmagno, la finanziera.

Ma adesso lasciateci gustare una panna cotta e un bel bicchierino di Bicerin al gianduiotto. Direttamente dagli Usa, è ovvio.

Thank you Aldo Zaninotto e Beth Ann Brozo!

Che fine hanno fatto i bitcoin?

bitcoin-torinoQuesto blog sta prendendo una piega strana. Scopro una Torino giovane con tanta voglia di futuro e una altrettanto giovane che dell’innovazione ha già fatto un presente vivo e attivo. Per esempio, dopo essere esplosi nel Mondo come fenomeno finanziario e legale (ma anche culturale), i bitcoin – la digital currency o moneta digitale – si possono conoscere, comprare e vendere anche nella nostra città.

Come si fa?
Si impostano qui parametri come città, vendita/acquisto, cifra e metodo di pagamento e si clicca su Find offers: a quel punto compariranno diversi risultati che sarà possibile consultare. Esiste una seconda piattaforma che mi segnalano come buona: Bitstamp.

Chi ne parla?
Quotidiani e blog, ma anche associazioni e appassionati di tecnologia. Su La Stampa già lo scorso anno si parlava del primo bancomat dedicato ai bitcoin, disponibile a Roma.
A Torino, nel frattempo, OpenLab di Associazione Prometeo ha promosso un talk in tema, mentre si è cercato di approfondirne i diversi aspetti – oltre a quelli tecnici e tecnologici – con workshop. Nell’Aprile dello scorso anno, c’è stato addirittura un barcamp dedicato ai bitcoin: ecco l’evento Facebook.

Cosa succederà nel 2015?
Dopo un 2014 disastroso, sia dal punto di vista finanziario che giudiziario, nel 2015 gli esperti si chiedono se e come questo strumento giungerà al consolidamento oppure all’estinzione. Se ne è discusso alla Social Media Week e ne scrivono molto bene (è uno dei miei quotidiani preferiti in assoluto quindi sono di parte;)) sul Guardian.

5 piole a Torino

Piole a TorinoSarà il fascino vintage sarà che le mode sono corsi e ricorsi storici, sociali, culturali, fatto sta che le piole tornano a battersi con onore nella sfida con cocktail bar e ristoranti etnici.
Un tempo questi locali erano strani animali poliedrici: ci potevi mangiare – certo – ma anche bere un buon bicchiere di vino rosso con un amico, suonare, cantare. Nelle piole sabaude di tutto il Piemonte si sono rinsaldate amicizie e sono stati forgiati piatti dall’anima eterna come tumìn (tomino, piccolo formaggio morbido), pan e anciùe (pane e acciughe) e la storica bùrgu (gorgonzola), il brus (formaggio fermentato che assume un gusto molto intenso) e la sòma d’aj (sorta di bruschetta con sopra sfregato l’aglio).
Qui nascono le merende sinoire con musica, concetto che sarebbe poi diventato aperitivo e apericena. Qui lo stile informale e i modi un po’ rudi dei vecchi frequentatori hanno valso il nome di piulase (piolacce).
Oggi, di piole si torna a parlare su siti, blog e guide. Per tornare al dialetto e all’ambiente famigliare senza cravatte né iPad. Per rilassarsi, mangiar due cose e chiacchierare una serata intera.
Buon appetito!

✓ Piola di San Salvario – Via Saluzzo 42. Ottimo lo stinco con patate, meno l’antipasto con tortino di melanzane e pomodori. I primi gustosi. Come dolce ho scelto la crema chantilly, che era squisita. Prezzi non popolarissimi.

✓ Da Cianci – Largo IV Marzo 9. Location splendida! Visti i prezzi (bassi) e il clima, è adatto ai giovani che vogliono concedersi una cena tradizionale.

✓ Piola Da Celso – Via Verzuolo 40. Da non perdere la carne, sia essa bollito, brasato o semplici salumi. In generale una delle piole più note a Torino.

✓ Caffè e vini Emilio Ranzini – Via Porta Palatina 9. Secondo I Cento di Torino questa è la piola del cuore, quella vera e verace come non mai sia per gli interni sia per il cibo: acciughe al verde, robiole, tome, prosciutti, giardiniera, zucchine in carpione e vitello tonnato, tra i tanti.

✓ Il Torchio – Via Rocciamelone 7. Lontano dai soliti percorsi cool, perché si trova in zona Campidoglio. Bella ambientazione.

50 sfumature di risate: pagellino semiserio

Ho finalmente colmato una lacuna che lasciava inorriditi amici e parenti.
Ma ccccome, non lo vai a vedere 50 sfumature? Eh? Eh? E come mai?
Quindi eccallà: dismessi i panni della nerd e messi in borsa due tre frustini, sono andata al cinema.

Dettaglio da ricordare: il libro è scritto da cani.
Colonna sonora molto bella, con Annie Lennox, Beyoncè, Weeknd, Ellie Goulding.
Gli attori uhm. Ma proprio nel senso di uhm. Mi spiego meglio.

fifty-shades-torinoProtagonista maschile: Jamie Dornan alias Christian Grey

Lo sentite? È il bon ci bon ci bon bon bon. Interpretare un ruolo come questo secondo me è la quint’essenza del vincere facile: bello, giovane, ricco, di successo, potente, affascinante. Porta la sua bella in elicottero, le regala un’auto nuova (e non stiamo parlando di una 500, stolte), si presenbueta ai suoi genitori vestito in modo impeccabile. Realismo puro insomma. Voglio dire, chi di noi ragazze non ha mai incontrato un uomo così? Esatto.

Certo poi arriva la frase Io non faccio l’amore, io scopo. Forte. pronunciata con il tipico sguardo carico di pathos di un bue grasso di Carrù. Risultato: mezza sala piegata in due dalle risate e l’alone di credibilità se n’è andato in vacca. Appunto.

10+
IL POLLO AMADORI

Fifty-Shades-of-Grey-Anastasia-SteeleProtagonista femminile: Dakota Johnson alias Anastasia Steele

Partiamo già male: l’attrice è figlia di Melanie Griffith quindi in odore di raccomandazione.
Il suo personaggio poi continua anche peggio.
Non fraintendetemi, non sono una puritana e sono convinta che chiunque abbia il diritto di fare della propria vita sessuale ciò che gli pare. Su questo libro – e più in generale sul tema del bdsm – sono state sprecate milioni di parole, si è tirato un ballo il femminismo, si son fatte analisi che non starò qui a giudicare. Però una cosa l’ho notata.

Il genere femminile da questo film non ne esce male perché Anastasia si fa appendere come un salame di cinghiale in tavernetta. E neanche perché accetta da un milionario un Mac Air anziché chiedere una casa al mare o una quota della sua azienda. No. Il punto è che per tutto il film di questa ragazza RIDIAMO. Scene e dialoghi sono talmente inverosimili, talmente “troppo”, che non si riesce a trattenersi.

All’inizio del film Anastasia ha un’età mentale da 5enne e si guarda intorno con lo sguardo perso del cerbiatto che vede i fari di un tir. Poi cominciano esilaranti scene di sospiri e tremori appena lui le sfiora il malleolo. Arrivati alle scene di sesso – quelle in cui lei ha un orgasmo appena rimane senza vestiti, per capirci – in sala si contano 5 persone che a forza di ridere non respirano più, 4 con spasmi facciali irrecuperabili e il resto degli spettatori è collassato in lacrime con la pancia in mano addosso al vicino.

Ora, passi che sei nerd e ti piace leggere. Passi che hai sti occhi da triglia al vapore. Passi persino che non ti depili. MA NON SARAI MICA ANCORA FERMA ALLA STORIELLA DEL FIORE VERO? Datti una calmata e prenditi il Ventolin, boja faus.

Riscontrato un miglioramento nel corso della scena Telefonata-Da-Ubriaca.
Previsto boom di invii cv nelle ferramente di tutto il Mondo.

5
L’ASMATICA

Le ricette imperfette – Vegan burger di Federica

ricette food torinoLa rubrica dedicata alle Ricette Imperfette da oggi è aperta a nuovi gusti e stili di vita: un benvenuto a Federica, che ci propone i suoi Burger Vegani.

Per 2 burger
100 gr di seitan
1 patata bollita
trito di sedano, carota e cipolla
spezie a piacere
olio, sale

Per la crema di cannellini
una latta di cannellini
salsa tahin
olio, pepe e sale

Bollire precedentemente la patata. In una padella far imbiondire il classico trito di sedano, carota e cipolla.
Tagliare il seitan e la patata bollita a cubetti e far saltare per 5 minuti con il soffritto, aggiustando di sale. Frullare tutto come se non ci fosse un domani, aggiungendo le spezie preferite.
Versare il composto in una terrina ed amalgamarlo per bene, se fosse troppo umido aggiungere pan grattato. Quando il composto è pronto formare con le mani i burger e cucerli in forno a 150° per 15/20 minuti.ricette-socialmedia-torino
Versare nel frullatore i cannellini sgocciolati, un bel cucchiaio di tahin, un filo d’olio, e sale e pepe a piacere e poi… frullare, frullare, frullare 😉

Scaldare il pane sulla bistecchiera per renderlo bello croccante. Spalmare poi generosamente la crema di cannellini, aggiungere un paio di fette sottili di pomodoro, insalatina fresca, se piace cetriolo. Sfornare i burger e rifinire così il paninazzo. Da accompagnare rigorosamente con patate fritte!

Prossima ricetta: nuggets di ceci.

Federica Giacone Abate di Avevo Voglia di Correre

7 scoperte da provare (e mangiare) a Torino

Ristoranti a TorinoDi solito questo blog è popolare, pop, scappato di casa: scegliete voi il termine che preferite. Questa volta, però, voglio dare spazio al cibo (ormai lo sapete che è una mia grande passione) in versione deluxe. Quella dei ristoranti, quella della ricerca e della ricercatezza, quella dei grandi chef che sono il vanto di tutto il Paese nel Mondo.
Per esempio, ho scoperto (e non sapevo che):

✔ Giapponese nella nostra città non è solo sinonimo di teriyaki e sashimi

✔ Abbiamo un patrimonio enogastronomico che sempre di più suggerisce uno spontaneo ciao ciao “Torino piccola Parigi” vah

✔ Nonostante tutto sappiamo risparmiare. Vedasi alle voci low-cost, piole e trattorie, hamburger di livello

✔ A Torino non abbiamo il mare ma che cce frega che cce ‘mporta: proprio come il calabrone – inconsapevole del proprio peso – vola e basta noi il mare ce lo portiamo in casa con un’alzata di spalle

✔ In città c’è un cortile di condominio trasformato in ristorante. Perché in fondo non siamo così seri e inquadrati come ci dipingono 😉

Le ricette imperfette – Moelleux au chocolat

ricette food torinoIn un pigro pomeriggio di vacanza io e il mio fidanzato abbiamo deciso di preparare un dolce che ci è caro e che ricorda il legame del nostro territorio con la vicina Francia. Parlo del moelleux au chocolat ovvero, in italiano, soffice al cioccolato.

Il dolce è facile da preparare e ha una goduriosa consistenza morbida al centro. Se sbagliate cottura non preoccupatevi: potrete sempre dire Ho preparato una buonissima torta al cioccolato 😉 Se no che ricetta imperfetta sarebbe?

Per dare un’occhiata al nostro risultato finale andate su Instagram: ho postato qui la foto.

Ingredienti

  • 100 g di farina
  • 50 g di burro
  • 100 g di zucchero
  • 200 g di cioccolato fondente
  • 4 uova
  • mezza bustina di lievito

Preriscaldare il forno a 200°.

Sciogliere a bagnomaria, in un pentolino, burro e cioccolato. Mescolare i tuorli con lo zucchero e la farina, poi aggiungere il lievito. Incorporare il tutto al composto di cioccolato e burro. Montare gli albumi e incorporare anch’essi.

Versare in uno stampo ricoperto di carta da forno e cuocere per circa 30 minuti a 200°, poi abbassare la temperatura a 180°. Per verificare il grado di cottura e di morbidezza del moelleux usate uno stuzzicadenti: se una volta estratto dal dolce risulta umido (ma non bagnato) al centro, la torta è pronta.

Decorate come vi pare e mangiate. La torta può essere servita intera oppure già divisa in quadrotti, comodi da conservare in frigorifero e consumare nei giorni successivi, magari a colazione.

Dove è finita la blogger?

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=FPIaE2Bq6PI&w=420&h=315]

Complice freddo e giornate uggiose, mi sono buttata a capofitto sul lavoro e sono tornata a scrivere come una forsennata. Il che è positivo per le mie finanze, certo, ma un po’ meno per il blog che ho ingiustamente trascurato.

Per farmi perdonare, vi svelo cosa ho scritto di recente (nonché la mia anima più profescional) e vi segnalo tre post che potrebbero interessarvi, sempre in tema social media e scrittura.
Spero possiate trarne informazioni utili e spunti di riflessione, sarà un piacere ascoltare le vostre opinioni o esperienze perciò scrivetemi! 😉

How-to – Come si fa una intervista

intervista social media torino howtoCosa hanno in comune Daria Bignardi e Fabio Fazio? Di certo avrete visto almeno una volta i programmi televisivi che conducono: sono incentrati sulle interviste ai personaggi più disparati come politici, attori, giornalisti, scrittori, comici.
Ora, che voi vogliate condurre una trasmissione tv oppure dobbiate più semplicemente scrivere un’intervista per il vostro giornale, sito o blog, ecco qualche dritta su come preparare, costruire e sfornare una bella intervista.

PERCHÉ – Se avete scelto questa intervista da soli, conoscerete certamente la motivazione che vi spinge a farla. Se vi è stata assegnata e non vi è chiaro il perché fate domande. Approfondite con i vostri superiori, clienti, committenti. Cosa vogliamo ottenere dall’intervista? Perché proprio a questa persona o gruppo? Perché lui/lei e non altri esponenti del settore? Lasciare tutto questo al caso o all’intuizione equivale a partire già azzoppati.

CHI – Altra mossa furba è capire chi si avrà di fronte. Che l’intervista sia scritta, telefonica o di persona, è fondamentale una ricerca preliminare sul profilo in questione. Di solito io mi sforzo di andare oltre alle informazioni base: ad esempio mi chiedo cosa ha scritto negli ultimi mesi, di cosa si sta occupando. Quali novità lo hanno visto protagonista nella sua vita (anche personale)? A quali eventi ha partecipato, magari twittandone, e in compagnia di chi?
Anche se vi rendete conto di non condividere politiche, idee e azioni di chi avrete di fronte, cercate di mettere da parte sentimenti personali e pregiudizi. L’empatia – altrimenti detto mettersi quanto più possibile nei panni dell’altro – aiuta moltissimo ad evitare gaffes, andare dritti al punto, non perdere tempo e non farlo perdere agli altri.

COSA E QUANTO – Una volta avuti chiari questi primi punti, potete partire con la costruzione. Stabilite con precisione data, luogo e orario e comunicate anche la durata prevista dell’intervista (gesto sempre apprezzato, specie se vi tenete sulla mezz’ora e rispettate poi i tempi).
In questo paragrafo va affrontata anche l’annosa “questione delle domande concordate”: in alcuni casi capita di sentirsi richiedere le tracce in anticipo e ci si può trovare spiazzati. Il mio post/articolo somiglierà ad un triste comunicato stampa? Perché non posso chiedere ciò che avevo in mente? Beh sappiate che non siete i soli a pensare tutto questo: ciascuno trova le proprie risposte a queste domande, dal canto mio posso dirvi che ho scelto di non comunicare mai in anticipo i dettagli delle interviste che faccio.
Tornando al nocciolo della questione, più che un rigido elenco di domande studiate un percorso da fare con il vostro intervistato. Immaginate una passeggiata in montagna: voi sarete la guida lungo il sentiero – con cartina, punto di partenza e di arrivo bene in testa – ma lui/lei sarà libero/a di fermarsi a fare qualche foto, se i tempi lo consentono.

COME – Mantenere una scaletta flessibile vi consente di divertirvi e di non annoiare.
Fate poche domande – quelle giuste – e prestate attenzione al linguaggio, considerando età e background dell’intervistato.
Ah, e sapete qual è il top? Non avere alcuna domanda. Sì esatto avete letto bene. Sono convinta che le migliori interviste non siano fatte di botta e risposta ma di spunti intelligenti di discussione e dibattiti che arricchiscono tutti gli interlocutori.

Bene, e adesso?
Siete seduti in un ufficio con un caffè di fronte, il vostro registratore sul tavolo e un po’ di inquietudine addosso, stile Anastasia Steele in 50 Sfumature?
Sorridete e rilassatevi. Che stiate aspettando un cantante rock o il sindaco della città, una persona naturale e interessata a sapere di più su chi ha di fronte mette chiunque a proprio agio e fa sempre buona impressione.
Non temete di essere giudicati: in fondo siete voi a condurre il gioco, e dall’altra parte questo potrebbe essere visto con lo stesso timore che state provando voi.

In bocca al lupo e buon lavoro!

Un ricordo

Nonno, perché guardi i film di guerra se l’hai vissuta? Non ti fa pena?
Cocca, sei piccola per queste cose. A cosa vuoi che ti serva saperlo?
Nonno ho 13 anni non sono piccola cavolo. Io ce la faccio, sono forte!
Cita, quello che tu vuoi sapere è difficile da raccontare a parole. Ma tu sei una testa dura eh, puceti. Nonno prova a spiegarti, se ci riesce.

Quando guardo i film di guerra vedo una cosa realistica, non vera. C’è grande differenza.
Vedi, nei film c’è il coraggio, l’eroe. Lascia la sua terra natale per approdare in territorio nemico eppure tutto è organizzato, studiato. Ognuno ha le sue belle magliette di colori diversi, come nel calcio. Io di qua e tu di là. Certe volte si vede sangue finto, certe altre no, eppure è facile, chiaro, hanno le mappe, le strategie.
Ma quella è solo una parte della realtà, cocca.

Quando sono partito ero giovane, ero un ragazzo. Cosa avrei dovuto temere? Nulla.
Avrei dimostrato a me stesso e a tutti che potevo, avrei fatto la mia parte per mettere fine all’inferno che stavamo vivendo.
Sarebbe stato brutto, certo. Avrei sofferto ma sarei stato forte. Io non avevo mai davvero temuto nulla.
Mi insegnarono a sparare, ed ero piuttosto bravo. Io e gli altri ragazzi sapevamo, noi sapevamo che si poteva anche morire. Eravamo consci dei saluti che potevano essere gli ultimi.
Che masnaiun, che bambinoni incoscienti eravamo.

Poi cominciò il nostro calvario. Le nostre certezze iniziarono a vacillare.
Capimmo che la guerra non era questione di vincere o perdere. Che una guerra non si combatteva con particolare onore, o ad armi pari.
Di pattuglia, vedevo cadaveri a testa in giù in terra. Uomini impiccare altri uomini e costringere gli abitanti dei paesi a guardare, perché fosse da monito.
Era così, sapevi che eri in guerra. A casa la tua famiglia contava su di te.
Però qualcosa nella tua testa ti diceva che stavi cambiando, e non in meglio.

Con il passare dei mesi, degli anni, la morte si accumulava tutto intorno e tu non ricordavi la voce di tua mamma o delle tue sorelle, la faccia di tuo papà.
Certi cadaveri li portavamo a spalle, certi altri abbiamo dovuto lasciarli lì. Certi i ricordi di casa li hanno venduti, pur di mangiare qualcosa. Orologi, braccialetti.
Passavano gli anni e la gente continuava a morire. Ad un certo punto non ricordavamo neanche più come o quando, quindi scrivevamo i nomi dei morti per paura di dimenticarli quando fossimo tornati a casa.
E intanto dormivamo in mezzo all’acqua, intanto mangiavamo i gatti randagi.
Pian piano della tua testa, nel tuo cuore, si insinuava il dubbio.
Se lottiamo gli uni contro gli altri ma sono vestiti come me e hanno foto come le mie nel taschino della giubba allora chi è il nemico? E io perché criste sono finito qui? Non avevi una risposta, dovevi solo andare avanti.

Ho camminato così tanto durante la guerra. E visto tante cose brutte, cita.
Certe volte abbiamo tolto la vita a padri, figli, fratelli, fidanzati. Certe volte ho urlato e ho pensato di scappare via da tutto.
C’era un tale, Carlo. Tutti lo chiamavamo Carletto perché era alto ma molto magro. Beh eravamo tutti molto magri allora, ricordo che strappavo l’erba per mangiare le radici, quando non c’era niente altro. Comunque Carletto un giorno sparì. Pensavamo l’avessero preso, ma la pazzia aveva fatto più in fretta del nemico.
Nella tasca aveva una foto di sua mamma e suo papà.

Quando sono tornato a casa la nonna non mi ha riconosciuto. Poi ha pianto tanto.
Era bella e magra anche lei. Mi sembrò di vederla per la prima volta.
Mi dicevano Dovresti essere contento sei tornato a casa vivo e sano, ma io sapevo che la mia era stata fortuna.
Ricordati cocca, in guerra si è nella mani della fortuna. Tutto il resto conta meno.
Ci ho messo tanto a farmene una ragione, su questo.
Certe volte la notte dormivo male a causa degli incubi ma mia mamma e mio papà non lo dicevano ad alta voce per paura di imbarazzarmi.
Mangiavo di nuovo gli agnolotti, quelli buoni che si facevano una volta, ma qualcosa dentro di me si era inasprito per sempre.

Non potrebbero raccontarla, nei film, la verità.
Perché la guerra è al tempo stesso troppo spaventosa e troppo schizofrenica per poter essere divisa in scritti, atti e tempi.
Non potrebbero mai dire com’è davvero. La guerra è troppo perché l’anima che l’ha vista possa tornare a dormire sonni tranquilli.

Ci sono atrocità che gli uomini compiono l’uno contro l’altro, che ti lasciano l’animo lacerato.
Un contro è chiedere perdono a Dio per quanto si è commesso, ma diverso è riconciliarsi con sé stessi.
The Pacific – Episodio numero 1