Onirika #5

Uscire da quell’ospedale è stato un sollievo.
Il Mondo fuori, però, è rimasto lo stesso.
Capelli troppo corti, pelle troppo tatuata, troppo gentile per meritare davvero la posizione di comando.
Poveri idioti.
Loro e i loro stereotipi rassicuranti.
Vorrei tornare a sedermi sotto quell’albero e godere dell’arcobaleno iridescente.
Occristo che schifo.
Stupida abitudine di camminare con la testa svagata nei miei pensieri.
Inciampata nella carcassa maleodorante di un pesce.
Risvegliata dai miei pensieri da questo tanfo.
Riportata alla realtà.
Sono vicina.
Il tizio della pescheria saprà darmi le risposte che cerco.

— Questo è il quinto episodio di un esperimento di storytelling. Continuate a seguirci per saperne di più.

Onirika #4

Smettila di urlare.
Lo so che sembro morta ma non lo sono, come te lo devo dire?
Prima di concederti quel camice bianco non ti hanno insegnato che non si urla in un pronto soccorso?
C’è gente che sta male qui, per la miseria.
Sì, c’ero arrivata anch’io: non ero in possesso di un maledetto paracadute.
Tu pensa a svegliarmi, io non sono morta.
Ecco, e già che mi salvi la vita beh trova il mio telefono.
Devo chiamarlo, mi fido solo di lui.
Solo di lui che quel giorno, seduta con la schiena contro quell’albero, ha dato inizio a tutto questo.
Comunque è tutto a posto.
Troppo spesso crediamo che cadere sia la fine.
Invece è solo l’inizio.

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Onirika #3

Dio che alto.
Non è normale.
Questa sfida non la supero.
Prima la scoperta del cadavere, poi l’obbligo penoso di portarlo con me.
Pesa.
Qui la cosa si fa seria.
Scala dopo scala, gradino dopo gradino, il passo si fa ritmico.
Come ogni gesto ripetuto, entra in circolo e diventa ovvio.
Proprio a quel punto si cade.
Perché mentre compi l’azione una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte la tua mente si rilassa e inizi a vacillare.
Il bordo è così vicino.
A un passo.
Un attimo.
Poi aria lungo il collo, sotto le ascelle e tra le cosce.
Giù.
Le mie mani cercano un appiglio ma non lo trovano.

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Onirika #2

Sento il bisogno di sorridere farsi largo senza fatica tra le viscere ed esplodere sul viso.
Non riesco a smettere.
Sembra tutto splendido, brillante, ovattato e tranquillo.
E io lì, ferma, con questa ridicola paresi facciale.
Invece lei no, povera bestia schiacciata a terra, inerme.
La tartaruga.
O meglio le sue budella rossastre.
Ormai ridotte a schiacciate, spalmate in modo indecoroso sul pavimento della sala.
Alzando gli occhi, vedo un’indicazione eloquente.
Una freccia rivolta a sinistra disegnata con inutile manierismo sul muro.
Il mio sguardo si muove lento e meccanico, come quelli di un personaggio dei giochi da pc, seguendo la direzione indicata.
Lì sul tavolo il vero cadavere.
Stavolta non si tratta di una tartaruga.
Ma io niente, essere senza rispetto, non riesco a smettere di sorridere.

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Onirika #1

«Non ti stai concentrando abbastanza», si lamenta.
No certo che non mi sto concentrando, come potrei?
Sono seduta a gambe incrociate su un prato.
«Respira», mi dice.
Ma non riesco neanche a tenere gli occhi chiusi, catturata dalla maestà che ho attorno.
I miei occhi sono fagocitati, rapiti e mai riconsegnati alla realtà.
La margherita che mi solletica il palmo della mano appoggiata a terra.
Le venature oscene che rigano il tronco dell’albero al quale è appoggiata la mia schiena.
Il ponte piccolo, così piccolo quasi si trovasse in un cofanetto da Polly Pocket.
No, non riesco a concentrarmi.
Ed è solo la prima volta.

— Questo è il primo episodio di un esperimento di storytelling. Continuate a seguirci per saperne di più.