Dove è finita la blogger?

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Complice freddo e giornate uggiose, mi sono buttata a capofitto sul lavoro e sono tornata a scrivere come una forsennata. Il che è positivo per le mie finanze, certo, ma un po’ meno per il blog che ho ingiustamente trascurato.

Per farmi perdonare, vi svelo cosa ho scritto di recente (nonché la mia anima più profescional) e vi segnalo tre post che potrebbero interessarvi, sempre in tema social media e scrittura.
Spero possiate trarne informazioni utili e spunti di riflessione, sarà un piacere ascoltare le vostre opinioni o esperienze perciò scrivetemi! 😉

La ricetta per la speranza

Spesso sento – tra tv web e chiacchierate – parlare di speranza. Parola bella, intensa, ché la pronunci e lei è già balzata in avanti verso il futuro.

La speranza è per me qualcosa di profondo e al tempo stesso ambiguo. Per sperare devi credere, e ciascuno di noi crede in cose diverse: la fede, la scienza, la famiglia, l’amore, il proprio gatto o cane. Taluni poi mettono sul piatto la frase più ambiziosa: credo in me stesso.
Dare speranza per me è difficile perché spesso sono io stessa a perderla. Sono io che smarrisco per strada quella luce in fondo al tunnel.
Ecco, certe volte più che luce pare proprio un lumino fioco al fondo di una miniera: lo segui e potresti uscire vivo ma potresti anche rimanere incastrato nella galleria per sempre.

Però una cosa l’ho imparata.

Proprio come l’atto di mangiare, la speranza vien sperando. Lo so, detta così sembra quella battuta, ce l’avete presente “chi vive sperando muore cag…”. Ma è vero.
Qualche anno fa ho sofferto di crisi di panico. Tutto difficile, anzi tutto impossibile. Buio e freddo.
In quei momenti ho imparato il primo ingrediente della speranza: non ce la farai da solo. Qualcuno questa speranza deve appoggiarla insieme a te, deve coltivarla insieme a te perché cresca sempre di più. Devi farla diventare un baobab gigante e imperioso, ma proprio come un contadino – o come la natura stessa – non potrai farcela da solo.
Lì ho cominciato a sperare, ad applicarmi come fosse un esercizio quotidiano di salute.
Tutto è tornato pian piano alla normalità ma devo ancora allenarmi. Come i grandi atleti, quando scopri uno sport benché tu arrivi a padroneggiarlo in modo eccellente sai di non dover mai smettere di lavorare, sai che se ti consideri arrivato, se non vuoi più imparare niente, allora sì che è la fine.

Mettere in un angolino le voci mortifere che mi dicevano, anche sul lavoro, “non sei abbastanza” “stai esagerando” “è tutta fuffa”. Zittire le voci che ci buttano giù ed esaltare quelle che invece dimostrano di farci bene. Chiamatela follia o forse incoscienza, scegliete a piacere e mi raccomando abbondate con le quantità. Mescolare, attendere che il composto si amalgami. Ecco, questa è la mia ricetta per la speranza quotidiana. Non so se sarà capace di motivare e non sono certa che funzioni su tutti come una panacea miracolosa. Ma sono certa che, se la provate, male non potrà farvi.

Buon martedì di Novembre a tutti!

How-to – Come si fa una intervista

intervista social media torino howtoCosa hanno in comune Daria Bignardi e Fabio Fazio? Di certo avrete visto almeno una volta i programmi televisivi che conducono: sono incentrati sulle interviste ai personaggi più disparati come politici, attori, giornalisti, scrittori, comici.
Ora, che voi vogliate condurre una trasmissione tv oppure dobbiate più semplicemente scrivere un’intervista per il vostro giornale, sito o blog, ecco qualche dritta su come preparare, costruire e sfornare una bella intervista.

PERCHÉ – Se avete scelto questa intervista da soli, conoscerete certamente la motivazione che vi spinge a farla. Se vi è stata assegnata e non vi è chiaro il perché fate domande. Approfondite con i vostri superiori, clienti, committenti. Cosa vogliamo ottenere dall’intervista? Perché proprio a questa persona o gruppo? Perché lui/lei e non altri esponenti del settore? Lasciare tutto questo al caso o all’intuizione equivale a partire già azzoppati.

CHI – Altra mossa furba è capire chi si avrà di fronte. Che l’intervista sia scritta, telefonica o di persona, è fondamentale una ricerca preliminare sul profilo in questione. Di solito io mi sforzo di andare oltre alle informazioni base: ad esempio mi chiedo cosa ha scritto negli ultimi mesi, di cosa si sta occupando. Quali novità lo hanno visto protagonista nella sua vita (anche personale)? A quali eventi ha partecipato, magari twittandone, e in compagnia di chi?
Anche se vi rendete conto di non condividere politiche, idee e azioni di chi avrete di fronte, cercate di mettere da parte sentimenti personali e pregiudizi. L’empatia – altrimenti detto mettersi quanto più possibile nei panni dell’altro – aiuta moltissimo ad evitare gaffes, andare dritti al punto, non perdere tempo e non farlo perdere agli altri.

COSA E QUANTO – Una volta avuti chiari questi primi punti, potete partire con la costruzione. Stabilite con precisione data, luogo e orario e comunicate anche la durata prevista dell’intervista (gesto sempre apprezzato, specie se vi tenete sulla mezz’ora e rispettate poi i tempi).
In questo paragrafo va affrontata anche l’annosa “questione delle domande concordate”: in alcuni casi capita di sentirsi richiedere le tracce in anticipo e ci si può trovare spiazzati. Il mio post/articolo somiglierà ad un triste comunicato stampa? Perché non posso chiedere ciò che avevo in mente? Beh sappiate che non siete i soli a pensare tutto questo: ciascuno trova le proprie risposte a queste domande, dal canto mio posso dirvi che ho scelto di non comunicare mai in anticipo i dettagli delle interviste che faccio.
Tornando al nocciolo della questione, più che un rigido elenco di domande studiate un percorso da fare con il vostro intervistato. Immaginate una passeggiata in montagna: voi sarete la guida lungo il sentiero – con cartina, punto di partenza e di arrivo bene in testa – ma lui/lei sarà libero/a di fermarsi a fare qualche foto, se i tempi lo consentono.

COME – Mantenere una scaletta flessibile vi consente di divertirvi e di non annoiare.
Fate poche domande – quelle giuste – e prestate attenzione al linguaggio, considerando età e background dell’intervistato.
Ah, e sapete qual è il top? Non avere alcuna domanda. Sì esatto avete letto bene. Sono convinta che le migliori interviste non siano fatte di botta e risposta ma di spunti intelligenti di discussione e dibattiti che arricchiscono tutti gli interlocutori.

Bene, e adesso?
Siete seduti in un ufficio con un caffè di fronte, il vostro registratore sul tavolo e un po’ di inquietudine addosso, stile Anastasia Steele in 50 Sfumature?
Sorridete e rilassatevi. Che stiate aspettando un cantante rock o il sindaco della città, una persona naturale e interessata a sapere di più su chi ha di fronte mette chiunque a proprio agio e fa sempre buona impressione.
Non temete di essere giudicati: in fondo siete voi a condurre il gioco, e dall’altra parte questo potrebbe essere visto con lo stesso timore che state provando voi.

In bocca al lupo e buon lavoro!

Un ricordo

Nonno, perché guardi i film di guerra se l’hai vissuta? Non ti fa pena?
Cocca, sei piccola per queste cose. A cosa vuoi che ti serva saperlo?
Nonno ho 13 anni non sono piccola cavolo. Io ce la faccio, sono forte!
Cita, quello che tu vuoi sapere è difficile da raccontare a parole. Ma tu sei una testa dura eh, puceti. Nonno prova a spiegarti, se ci riesce.

Quando guardo i film di guerra vedo una cosa realistica, non vera. C’è grande differenza.
Vedi, nei film c’è il coraggio, l’eroe. Lascia la sua terra natale per approdare in territorio nemico eppure tutto è organizzato, studiato. Ognuno ha le sue belle magliette di colori diversi, come nel calcio. Io di qua e tu di là. Certe volte si vede sangue finto, certe altre no, eppure è facile, chiaro, hanno le mappe, le strategie.
Ma quella è solo una parte della realtà, cocca.

Quando sono partito ero giovane, ero un ragazzo. Cosa avrei dovuto temere? Nulla.
Avrei dimostrato a me stesso e a tutti che potevo, avrei fatto la mia parte per mettere fine all’inferno che stavamo vivendo.
Sarebbe stato brutto, certo. Avrei sofferto ma sarei stato forte. Io non avevo mai davvero temuto nulla.
Mi insegnarono a sparare, ed ero piuttosto bravo. Io e gli altri ragazzi sapevamo, noi sapevamo che si poteva anche morire. Eravamo consci dei saluti che potevano essere gli ultimi.
Che masnaiun, che bambinoni incoscienti eravamo.

Poi cominciò il nostro calvario. Le nostre certezze iniziarono a vacillare.
Capimmo che la guerra non era questione di vincere o perdere. Che una guerra non si combatteva con particolare onore, o ad armi pari.
Di pattuglia, vedevo cadaveri a testa in giù in terra. Uomini impiccare altri uomini e costringere gli abitanti dei paesi a guardare, perché fosse da monito.
Era così, sapevi che eri in guerra. A casa la tua famiglia contava su di te.
Però qualcosa nella tua testa ti diceva che stavi cambiando, e non in meglio.

Con il passare dei mesi, degli anni, la morte si accumulava tutto intorno e tu non ricordavi la voce di tua mamma o delle tue sorelle, la faccia di tuo papà.
Certi cadaveri li portavamo a spalle, certi altri abbiamo dovuto lasciarli lì. Certi i ricordi di casa li hanno venduti, pur di mangiare qualcosa. Orologi, braccialetti.
Passavano gli anni e la gente continuava a morire. Ad un certo punto non ricordavamo neanche più come o quando, quindi scrivevamo i nomi dei morti per paura di dimenticarli quando fossimo tornati a casa.
E intanto dormivamo in mezzo all’acqua, intanto mangiavamo i gatti randagi.
Pian piano della tua testa, nel tuo cuore, si insinuava il dubbio.
Se lottiamo gli uni contro gli altri ma sono vestiti come me e hanno foto come le mie nel taschino della giubba allora chi è il nemico? E io perché criste sono finito qui? Non avevi una risposta, dovevi solo andare avanti.

Ho camminato così tanto durante la guerra. E visto tante cose brutte, cita.
Certe volte abbiamo tolto la vita a padri, figli, fratelli, fidanzati. Certe volte ho urlato e ho pensato di scappare via da tutto.
C’era un tale, Carlo. Tutti lo chiamavamo Carletto perché era alto ma molto magro. Beh eravamo tutti molto magri allora, ricordo che strappavo l’erba per mangiare le radici, quando non c’era niente altro. Comunque Carletto un giorno sparì. Pensavamo l’avessero preso, ma la pazzia aveva fatto più in fretta del nemico.
Nella tasca aveva una foto di sua mamma e suo papà.

Quando sono tornato a casa la nonna non mi ha riconosciuto. Poi ha pianto tanto.
Era bella e magra anche lei. Mi sembrò di vederla per la prima volta.
Mi dicevano Dovresti essere contento sei tornato a casa vivo e sano, ma io sapevo che la mia era stata fortuna.
Ricordati cocca, in guerra si è nella mani della fortuna. Tutto il resto conta meno.
Ci ho messo tanto a farmene una ragione, su questo.
Certe volte la notte dormivo male a causa degli incubi ma mia mamma e mio papà non lo dicevano ad alta voce per paura di imbarazzarmi.
Mangiavo di nuovo gli agnolotti, quelli buoni che si facevano una volta, ma qualcosa dentro di me si era inasprito per sempre.

Non potrebbero raccontarla, nei film, la verità.
Perché la guerra è al tempo stesso troppo spaventosa e troppo schizofrenica per poter essere divisa in scritti, atti e tempi.
Non potrebbero mai dire com’è davvero. La guerra è troppo perché l’anima che l’ha vista possa tornare a dormire sonni tranquilli.

Ci sono atrocità che gli uomini compiono l’uno contro l’altro, che ti lasciano l’animo lacerato.
Un contro è chiedere perdono a Dio per quanto si è commesso, ma diverso è riconciliarsi con sé stessi.
The Pacific – Episodio numero 1

Chi scrive

scrittura storytelling torino social mediaChi scrive non lo fa perché gli viene facile.
Chi scrive ama farlo nonostante quel giorno avrebbe di meglio da fare, vorrebbe pomiciare col fidanzato, dovrebbe stirare o ancor meglio dormire un po’.
Ma questi non sono che condizionali mentre scrivere, mano a mano che lo fai, diventa un imperativo categorico.

Chi scrive per professione e per passione non pensa che il vero genio sia colui che scrive due o tre parole su un fazzoletto prestato al bar e da lì nasce un capolavoro.
Chi scrive pensa che il vero genio sia chi riedita, rimuove, rimpasta, rivede i concetti perché siano intelligenti, semplici e trasmettano qualcosa.
Un’emozione, un’incazzatura, un mito da sfatare, un’idea. Quello è l’obiettivo, e non il genio sregolato ché quello esiste solo nell’immaginario collettivo.

Chi scrive sa che potrebbe scatenare reazioni contrarie a quelle che intendeva suscitare nel lettore. Ma non importa, se ne assumerà le responsabilità.

Chi scrive trova sempre il tempo per farlo.
Non perché gli viene facile ma perché in ogni momento, quando gli accade qualcosa di speciale, unico, particolare, nella sua mente compare nitidissimo il pensiero datemi un foglietto qualsiasi o lo smartphone: ho bisogno di ricordare, voglio mettere nero su bianco o su Evernote.
Il pensiero genera scrittura e la scrittura genera altri pensieri, in un circolo virtuoso e vizioso al tempo stesso.
Sì ecco, scrivere è un vizio, un vezzo del quale ad un certo punto non si potrà più fare a meno.

Scrivere diventa compagno di vita quando non sai con chi altro parlare.
Scrivere diventa un patetico ma inevitabile strumento di conversione dei tuoi pensieri in azioni concrete. Dovresti pensare meno e agire di più ma niente, la parola scritta è il tramite obbligato per lasciare che le gambe si muovano e sbloccare finalmente braccia, cuore, voce.

E quando ti rendi conto di cosa hai scritto un po’ ti sorprendi di averlo prodotto tu, sbattendo con le dita su quei tasti.
Non c’è soluzione.
Chi scrive non lo fa perché gli viene facile.
Lo fa perché scrivere è come fare l’amore: più lo fai, più vorresti continuare a farlo.

Il giorno perfetto: favola urbana felice

happy blogger copywriter social media torinoSe sto parlando del mio matrimonio? No, non proprio.

Il giorno che definisco perfetto, almeno per ora considerando che non sono sposata, è quel giorno magico nel quale tutto va come avresti desiderato nei sogni migliori.
Quelli vividi e colorati, nei quali ti svegli e il caffè è già pronto e il latte caldo e il pc acceso e su Facebook il tuo lavoro procede bene e ti arriva una email da un cliente soddisfatto e poi a pranzo mangi qualcosa di squisito e poi hai il pomeriggio libero e poi la sera il tuo fidanzato torna a casa dal lavoro con dei fiori.

Ma questa volta c’è di più.

La giornata che vi racconto oltre ad avere molte delle caratteristiche che vi dicevo sopra è stata perfetta nei piccoli dettagli. Scaglie di luce positiva si sono incastrate alla perfezione tra gli impegni della quotidianità, come in un puzzle riuscito che appendi al muro.

Tutto comincia così.

Sveglia alla solita ora, pimpante (oddio ehm… diciamo riposata e ciabattata che è più realistico) mi dirigo verso la macchinetta del caffè e prendo la tazza, la tazzona gigante che mi fa compagnia quando cerco di snodare matasse di casini raggrumati.
Poi un pensiero mi sfiora la mente galoppando e poi sparendo: Che fai? Oggi colazione da Vergnano, c’è un amico da incontrare.
E questo è proprio quell’amico lì: di talento, lavora nel tuo settore e ha un’idea da proporti a proposito di una rubrica.
Tu penserai: una rubrica che desidera sul tuo blog, una rubrica che qualcuno tiene ma che ha bisogno di un editing. Invece no, è proprio come nei sogni più vividi. La rubrica è tua, tua come lo sono i tasti coi quali la scriverai, proprio tua come quella tazzona di caffè la mattina.

Dopo aver discusso i dettagli saluti l’amico e sorridendo da sola come un’ebete percorri via Lagrange. I passanti ti guardano come se fossi un chihuahua fucsia alto 1 metro al garrese ma non te ne importa, tu trotterelli con la tua paresi facciale fino alla destinazione seguente.
Una destinazione che ricorda imprese di fatica come quelle di Pantani. Una di quelle per le quali molti hanno perso la vita. La destinazione che ti mette alla prova, ti fa sudare come in palestra, ti arrovella il cervello.

La scelta di un regalo di battesimo. Da Thun.

Ora esistono molte categorie di negozi a questo Mondo nei quali una ragazza entra sicura di sè. Sono negozi dalle vetrine scintillanti piene di scarpe che implorano di essere liberate e di finire nei tuoi piedi, librerie zeppe di offerte 25%, luoghi di culto recanti mela morsicata. La Thun no, la Thun è un posto diverso. Profuma di bambino e di serenità, i colori tenui trasmettono gioia, c’è la musica classica in sottofondo e… e niente perché la tua mente si appanna tra le ottocento opzioni comprendenti lune, stelle, babaciu, orsetti, fiori. Ti viene sonno. Inizi inesorabilmente a sudare.

Fatto sta che entro e la commessa, avvezza all’habitat, individua subito questa intrusa che non sa niente di battesimi, non avendo figli né cuginetti piccoli, e vaga spaesata pensando tra sé e sé va beh troppe robe dai come faccio.
A quel punto accade che la commessa con tono imperioso prende in mano la situazione e indica uno stanzino a fondo negozio.
Eccallà, è finita ora andiamo in magazzino e ciao proprio resto qua fino a chiusura.

Invece no.

In un attimo lo stanzino è super ordinato, catalogato per colore e tema e la commessa parte con le domande di orientamento: Maschio o femmina? Come si chiama? Colori preferiti della mamma? Oggetti che invece la mamma odia? Sospetto che questa categoria di lavoratori venga addestrata alla CIA.
Tutto si svolge in un attimo. Commessa estrae un soprammobile beigiolino con un disegno rosa e tu ti senti sollevata. O forse no. Potrò mai regalare un ciapapuer? Ma no, cavolo.
Ma accade di nuovo: una squama di perfezione fa tac e si incastra perfetta.
Non è un soprammobile, stolta che non sei altro.
È un carillon.
Gira dolcemente, ha la musica perfetta, costa il giusto ma non troppo. Daje tutta.

Tronfia per l’impresa titanica appena portata a termine, esci dal negozio sentendo nella tua testa la colonna sonora del Gladiatore. Sorelle!! Scatenate l’inferno!! Tocca andare affà la spesa al supermercato.
Ti avvii verso la fermata del bus e con la coda dell’occhio ti accorgi che sta già arrivando, splendido.
Acchiappi il mezzo e trovi subito posto a sedere. Ce li avete presente i posti grandi nei pullman nuovi? Quelli che sembrano doppi ma in realtà le persone ci stanno da sole, belle svaccate? Ecco, li adoro.
Scendo dal bus e con lo scalpo Thun sotto braccio passeggio a piedi verso la meta carrellifera.

Da lontano, però, compare qualcosa.

È una innocua vecchina, sola soletta intenta a passeggiare nel deserto urbano di Agosto.
La signora improvvisamente si ferma e, da lontano, mi guarda.
Presa dal panico di avere qualche residuo del pranzo spiaccicato in faccia mi fermo e tiro fuori lo specchietto da borsa: niente. Allora sarà qualcuno dietro di me: nessuno.
Marciapiede vuoto. Solo io e lei, come pistoleri che stanno per impallinarsi in vecchio film western.
Va bene, mi avrà riconosciuta perché conosce chissà quale mio parente o amico. Stiamo calmi molto calmi e procediamo.
La signora riprende il suo cammino.
Attraversa la strada.
Io raggiungo le strisce pedonali siamo vicinissime non c’è più scampo è la fine tutta la vita mi passa davanti.

“Signorina, che bel vestito che ha!”
“… ehm… grazie…”
“No davvero, l’ho vista camminare così svelta da lontano! Sta proprio bene, sembra una modella sa?”

Sì, è davvero un giorno strano. Un giorno perfetto.

Scrittura creativa: esercizi per vincere la minacciosa “sindrome da pagina bianca”

Scrittura creativa TorinoMai capitata la cosiddetta “Sindrome da pagina bianca”?
Devi scrivere una relazione di lavoro, una email, la tesi di laurea o piuttosto un testo di diversa natura, creativo, per partecipare ad un concorso letterario.
Sei lì con il tuo bel foglio Word aperto che ti guarda. Ancora bianco. Da più di mezz’ora.
Guardi a destra e hai l’orologio del cellulare che ti bacchetta. Guardi a sinistra e hai la to-do list (La Maledetta è lei, altro che Pirlo).

Capita anche a me, quindi ho deciso di condividere 3 esercizi che faccio quando la penna si è inceppata e il doc Word urla per farsi sentire.
Modalità di somministrazione: qb anche oltre il caso di necessità 😉

1. L’ESERCIZIO DELLA LETTERA
Guardati intorno, scegli la prima lettera che vedi, a caso, e scrivi 25 parole che cominciano con quella lettera. Senti che qualcosa si sta mettendo in moto? La tua mente dice a sé stessa beh dai questo è facile lo so fare senza problemi e tu ti ritrovi a scrivere. Solo scrivere. Ripeti l’esercizio con un’altra lettera. Va meglio? A me, arrivata a questo punto, succede che, seppur seguendo il percorso obbligato dell’iniziale scelta per l’elenco, la mente vaga in un brainstorming libero. Questo brainstorming può rivelarsi più utile di quanto avreste creduto, sfruttatelo: appuntatevi idee balzane, ispirazioni, ricordi emersi grazie ad esso.

2. L’ESERCIZIO DEL COMPLEANNO
Pensa ad un evento, come il compleanno di tua mamma oppure la prossima cena di San Valentino con il/la fidanzato/a. Immagina di essere stato incaricato di organizzarlo: devi fornire ai tuoi collaboratori un elenco completo di tutti gli step. Stendi solo l’elenco, senza preoccuparti dei dettagli ai quali penserai più tardi. Come cominceresti? Ordinando la torta di compleanno oppure telefonando al ristorante per prenotare? Cosa ha priorità e cosa invece è secondario? Questo esercizio costringe la mente a creare una scaletta, riordinando le idee confuse, dando loro un ordine di senso ma anche temporale. Molto utile quando vi viene richiesto un articolo o un capitolo di libro o tesi.

3. L’ESERCIZIO DEL DITO
Descrivi minuziosamente come si presenta il dito indice della tua mano destra. Soffermati sui particolari e arricchisci con aggettivi. Non aver paura di dilungarti o annoiare. Si tratta di un dito affusolato oppure tozzo? La pelle è abbronzata o pallida? Screpolata oppure liscia? Più ricco sarà il testo in termini di dettagli, più sarete portati alla concentrazione e all’esposizione. Trovo che questo esercizio sia ottimo, specie quando non riesco a creare una descrizione soddisfacente oppure a spiegare un concetto nel modo approfondito richiesto.

Se volete leggere testi di scrittura autorevoli, vi consiglio Annamaria Testa oppure, a proposito di tesi, Umberto Eco. Per imparare come si delinea un plot davvero avvincente, per me nessuno eguaglia l’intramontabile Agatha Christie.
Per tutto il resto, leggete leggete leggete. Leggete libri lunghi oppure brevi. Leggete scrittori europei vicini alla vostra cultura ma anche sudamericani e orientali, che vi sfideranno alla comprensione e all’empatia.

Leggete come mangiate: tanto, di tutto e ad ogni ora del giorno.

Because I’m happy?

Leggo spesso blog, diversi tra loro. La mamma un po’ carogna, il nerd e i suoi episodi esilaranti di vita vissuta,  i viaggiatori con le loro storie. E ho realizzato una cosa: se sei una blogger, essere felice è un casino.

Prendi Machedavvero, poveraccia. Quando era una madre sull’orlo di una crisi di nervi tutti a leggere, adorare, confortare. Poi la pupa è cresciuta, lei sta meglio e giù le critiche. Anche adesso che si fa i viaggi in giro per l’Europa io stessa penso Belle foto eh, ma che noia è diventata…
Perché diciamocelo, è umano: le sfighe sono più divertenti delle cose belle. Ridereste se chi scivola sulla banana ricadesse in un leggiadro plissé anziché con una sonora panciata? Chi leggerebbe mai un libro che alla prima frase fa subito Ecco la storia di tre persone che sono vissute felici e contente? Nessuno. Devono essere orfani, sfigati, partire dal basso che più basso non si può e vogliamo accompagnarli verso la rinascita, la gloria. E le serie tv? Più sono intricate, misteriose, avventurose più le guardi. E se c’è quel pizzico di splatter o di violento pazienza, nel contesto ci sta perché intanto la tua mente è nutrita di altro. Di azione, di carica magnetica che ti tiene incollata allo schermo.
Questione di storytelling baby, quello delle nostre vite. Meet, lose, get. Il gancio, il picco di tensione, la felicità nel raggiungimento del risultato. Togli tutto questo e non c’è storia, letteralmente.

E se uno è felice? Cacchio se ne fa del tudududu stile Lo Squalo? Niente. Se sei felice non hai paura, non chiedi alle persone di cambiare. Te ne stai lì bello tranquillo e ti godi ciò che hai. Montagne russe emozionali un’altra volta, grazie.
Ecco quindi il dubbio. Dato che sono (finalmente) felice, potrò mai realmente intrattenervi signori e signore che siete lì, dall’altra parte dello schermo? Chi siamo? Dove stiamo andando? Ma soprattutto: perché il reach organico Facebook continua a calare?
Torno a lavorare che è meglio.

Torino è spotted

torino spottedSpettegolare è social e le dichiarazioni d’amore non passano mai di moda, specie se romantiche e provenienti da mittenti misteriosi. Chi di noi ha dimenticato l’arrivare al liceo la mattina e controllare su Leggo le dediche inviate da potenziali flirt alle compagne di classe? 🙂
Però adesso c’è una novità: con Facebook il messaggino è diventato post e per dichiararsi c’è lo spotting.
Le fanpage spotted – dall’inglese adocchiato, individuato – consistono in spazi liberi dove studenti e giovani in genere possono dichiarare in forma anonima apprezzamenti nei confronti di altri coetanei. Il risultato è una collezione di post goliardici, divertenti e/o romantici.

Anche voi l’avrete notato: a Torino c’è stata prima la versione PoliTO, poi quella dedicato al Quadrilatero Romano e da lì tutto un frusciare di incontri furtivi e richieste di contatto stile Giovedì scorso, aula studio al Valentino. Ragazzo castano con barba affascinante e occhietto ammiccante: grazie per avermi regalato la tua biro, ricambierei il favore offrendoti un caffè!.

Se siete curiosi, su Torino trovate anche la fanpage Spotted GTT, quella dell’Università di Torino, oppure Spotted Cacao o Spotted Metro Torino.

Conoscete altre pagine Facebook di questo tipo su Torino? Scrivete scrivete, così vado a dare un’occhiata anch’io 😉

L’Africa e la fame. No, non quella a cui stai pensando.

Ma tu quanta fame hai?
Sono tornata dall’agognato viaggio in Africa con questa domanda in testa.
Combattuti a muso duro la diffidenza, la paura, i preconcetti naturali del mio essere occidentale rimane la sola domanda: quanta fame hai?
Quanta forza hai di continuare a stare in strada a vendere i tuoi prodotti, nonostante un brutto braccio ferito ricucito alla bell’e meglio? Quanta voglia hai di passare in mezzo alla folla col tuo motorino, nonostante sia pericoloso?
E se la forza non ce l’hai, ha senso continuare a cercare di ottenere un risultato?
Di questo viaggio mi resta l’assoluta mancanza di spocchia nei confronti dello sporco. I volti e i sacrifici di chi fa il doppio con la metà delle risorse.
In fondo sporcarsi le mani è il prerequisito base per raggiungere l’obiettivo.
In fondo tu quanta fame hai?