Noi donne lo cerchiamo bello, stimolante e in grado di farci crescere giorno dopo giorno. Lo desideriamo attento alle nostre esigenze, vogliamo che ci prenda sul serio, che ci rispetti per le nostre forze e qualità. Sì, sono convinta che cerchiamo nel lavoro le stesse qualità del nostro uomo ideale.
Poi finiamo il liceo/università/master e scopriamo che non va esattamente così. Che, come scrive Odile Robotti nel suo libro Il talento delle donne edito da Sperling&Kupfer
essere donna nel mondo del lavoro è un lavoro di per sé
Odile è stata così gentile da regalarmi il libro, chiedendomi di farle sapere cosa ne pensassi. E io ho deciso di descriverlo in 10 concetti, 10 pillole utili.
Sono le 10 volte nelle quali ho letto e poi alzato gli occhi dalla pagina pensando Caspita è vero, come quella volta che…
– Ci hanno insegnato a non esaltarci troppo, a non vantarci. O, come si dice dalle mie parti, una città che fa dell’understatement un modello di vita, a volare basso. Lo anticipava tempo fa nel suo Lean In anche Sheryl Sandberg: se un uomo a capo di un team ottiene successi si descrive come un leader capace e risoluto, mentre se lo stesso accade ad una donna beh.. lei tenderà ad attribuire la riuscita al valore del gruppo, al duro lavoro, al caso, alla fortuna. Bene, è ora di fare un esercizio. Sarà shockante. Parliamo dei nostri successi e valorizziamoli. Hashtag numero 1: #perchéiovalgo
– Quante volte ci siamo sentite dire Sono certo/a che saprai farmi sognare oppure Con le tue capacità puoi aiutarci a dare la svolta alla nostra situazione attuale o ancora Certo è un compito tosto eh, ma sono sicuro/a che tu riuscirai dove altri hanno fallito. Ecco, Robotti con efficacia chiama queste le “polpette avvelenate”. Perché spesso ci indorano la pillola con un complimento e noi ci ritroviamo alle prese con missioni impossibili, destinate a rimbalzarci sui denti. E avoja a fare magie: se certe situazioni non sono mai state risolte prima ci sarà un perché. Hashtag numero 2: #noncicasco
– Alle medie la mia professoressa di italiano, che manco a dirlo adoravo, ci ripeteva Fate tante domande. Perché aiutano a capire, perché dimostrano interesse per l’argomento e fanno sentire tutti coinvolti. Bene, dimenticatevelo. Troppe domande trasmettono debolezza e ansia. Hashtag numero 3: #sololedomandegiuste
– Sorridere, essere gentili con tutti: a noi ragazze viene naturale. Perché ci è stato insegnato che sono segni di un corretto comportamento, che possiamo usare la femminilità per convincere e farci benvolere. Errore. Se sentiamo puzza di battuta sgradevole, di insinuazione ingiusta, di critica non costruttiva allora è sacrosanto smettere una buona volta di sorridere. Hashtag numero 4: #nonpiacereperforza
– Amo il rugby, e se lo seguite anche voi sapete di cosa sto per parlare. In breve, in questo sport omoni enormi si affrontano a viso aperto, con lealtà ma senza fronzoli, e poi a fine partita trascorrono il terzo tempo insieme, vincitori e sconfitti, mangiando e bevendo. Provate a immaginare la scena. Ce l’avete in testa? Bene ora provate a pensare all’ultima volta che una collega vi ha detto una frase sgarbata o vi ha lanciato una frecciatina polemica. Reazioni diverse eh? 🙂 Robotti con grande onestà ci fa ammettere fatti veri dei quali prendere atto per cambiare: spesso anzichè affrontare apertamente un conflitto e poi berci una birra su e amici come prima noi ragazze tendiamo a non dire niente, portare rancore, essere invidiose, tramare, parlare alle spalle. Confondiamo avversario con nemico giurato. Meglio affrontare con calma le situazioni spinose appena si presentano, di qualsiasi tipo esse siano. E dopo averle risolte con assertività, lasciarsele alle spalle. Hashtag numero 5: #avisoaperto
– Mando quel cv negli Usa, ho letto l’annuncio di lavoro e sembra la descrizione delle mie esperienze lavorative. Non ci potevo credere guarda, spero che mi prendano. Però da una parte sarebbe un bel casino… Lì pagano da Dio, e nessuno trova simpatica una che guadagna il triplo di un’altra donna o il doppio di un uomo. Spiegazione tra le righe: ho paura di vincere. Perché, come dice giustamente Robotti, per le donne status e gradimento sono correlati negativamente. Hashtag numero 6: #finoallafine
– C’è la vicina anziana che chiede ogni giorno una favore diverso, la mamma che fa gli occhi da Gatto Con Gli Stivali se non la vai a trovare 7 giorni su 7, la collega che quando si tratta lavori di gruppo diventa irreperibile. Fermi tutti: è il momento di sfoderare il magico no. NO. N-O. Nein. Meglio imparare in fretta a distinguere tra chi ci vuole bene e chi approfitta della nostra gentilezza/professionalità/tempo. Hashtag numero 7: #ancheno
– Ai primi stages ero convinta che bastasse lavorare tanto e bene per essere ricompensata. Mi sono accorta a mie spese che non è così. Noi ragazze perdiamo ore a lavorare su cose che non vengono misurate mentre trascuriamo la comprensione delle relazioni che regolano il gruppo o il rapporto con il singolo cliente. A volte i fattori di premio non sono il lavoro a testa bassa ma la capacità di fare gruppo, essere rilassati anche nel bel mezzo delle crisi, l’uniformità con il dipendente-tipo dell’azienda. Regole non scritte, insomma, da imparare al più presto. Hashtag numero 8: #guardatintorno
– Rilassate sì, troppe risate no: si viene fraintese, prese meno sul serio, minimizzate. Hashtag numero 9: #pocodascherzare
– Quali sono i simboli tipicamente maschili del potere? Estensioni vistose di sé: automobili potenti, orologi, case, belle donne. Robotti spiega che i simboli contano e che se li desideriamo non dobbiamo vergognarcene. Non scusiamoci troppo, neanche del potere. E non sentiamoci obbligate a dare spiegazioni su tutto. Hashtag numero 10: #soproud
A voi sono mai capitate queste situazioni? Raccontatemi le vostre storie di ordinaria giungla lavorativa 🙂
L’ha ribloggato su worldnosh.
Io sono rimasta malissimo quando un mio cliente che mi rispetta molto professionalmente ha pensato di dover accorrere a difendermi da un suo collega che criticava (da ignorante) il mio sistema. Io ho educatamente esposto la mia argomentazione perfettamente tranquilla ed efficace comunque, ma mi ha sorpreso l’aver dato l’impressione, alla mia età e con la mia esperienza, di essere una ‘damzel in distress’!!
Interessante meccanismo, raro direi: di solito si limitano a non dire nulla per difendere nessuno/a 🙂
Complimenti per aver saputo mantenere la calma e rispondere a tono: ottimo lavoro! #avanticosì