Sbevazzatori che non siete altro, cosa avete pensato? Questo libro non parla di alcol né di serate brave in giro per l’isola che ha ispirato grandi scrittori come Hemingway. Tra queste righe – composte con cura e passione, quasi come su uno spartito – di grande c’è solo la stanchezza, fisica e di animo, di chi, lontano dal paradiso vissuto dai turisti, ogni giorno sperimenta razionamenti di cibo, burocrazia, proclami politici ormai svuotati di significato.
Per me, scoprire questo lato di Cuba è stato shockante.
Una cosa è quella certa pazienza che lambisce l’apatia, quel sorridente fatalismo di chi guarda al futuro semplice perché quello anteriore ah chissà, che percepisco anche qui in Italia. Tutt’altra storia è leggere degli ospedali nei quali mancano i cuscini, del mercato nero dei generi alimentari che solitamente dò per scontati, dello snervante doppio sistema monetario (pesos nazionali e pesos convertibili), dei “meeting di ripudio” (manifestazioni di protesta contro chi lascia l’isola per andare a vivere in qualche altro Paese), dell’impossibilità di bere latte per chi ha tra i 7 e i 65 anni: incredibile, nel vero senso del faticare-a-credere. Non posso definire in altro modo un passaggio come il pane che adesso metto in tavola non è stato concepito per soddisfare il gusto, perché in una società come questa provare a dare un sapore alle cose rappresenta una debolezza piccolo borghese contro la quale dobbiamo lottare: un vero rivoluzionario si mangia il pane come viene fatto, senza lamentarsi tanto.
Molte persone in questi anni hanno argomentato il classico beh se è troppo incredibile per essere vero magari è proprio perché non lo è: la Sánchez è stata definita “spia” e “mercenaria” ma, nonostante accuse, arresti e censure, ha proseguito l’attività di reporter, vincendo numerosi premi internazionali. Cuba Libre è uscito per la prima volta nel 2009. L’edizione che ho io è del 2013. Chissà se oggi, nel 2015, qualcosa è cambiato. Per saperlo, si può restare aggiornati sul sito 14ymedio.
Da twittare
Se digeriamo costantemente notizie precotte in televisione, discorsi inscatolati e fuori data di scadenza, dadi di calma e pazienza per sopportare il quotidiano, è normale che anche il nostro piatto rispecchi sempre più questi acri sapori.
Inattività e silenzio: inerzia collettiva di un popolo assorto.
Voglio segnalare che non nascondo armi sotto il letto, anche se ho commesso un delitto ricorrente ed esecrabile: mi sono creduta libera.
Non importa quante volte si oltrepassa la linea dell’illegalità: la cosa importante è continuare ad applaudire.
Di fronte alla frequente constatazione che scrivo bene rispondo sempre con una breve frase: Mi spiace, non posso evitarlo, si tratta di una malattia professionale.
Pingback: Buoni propositi: 9 libri che vale la pena leggere nel 2016 | Social Media Torino